Monografia, in lingua italiana, a cura di M. Calabrese, A. Del Massa e U. Mannoni, anno 1968, ed. "Il Poliedro" di Roma



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Questa è la prima, ormai rara, monografia edita su Vincenzo Balsamo nel 1968.

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Testi critici del catalogo


"BALSAMO"


michele
_ ___ __ ______ _ _______ calabrese

   Rappresenta sempre una fatica, per me, scrivere d' arte.

   Pure, da quando dirigo una rivista - nata così, un po' per celia e un po' per non morire - forse con grande costernazione di alcuni miei colleghi i quali, servendosi d' un centinaio di vocaboli che poi appiccicano e ricuciono nel tentativo, ahimè vano, di spiegar qualcosa al colto e all' inclita; da allora, avrò scritto un centinaio almeno di critiche finendo relegato, contro tutti i miei meriti, nelle varie monografie (e mi sia perdonata la presunzione in questo mondo che di presuntuosi ne vanta a josa) pubblicate entro le mura domestiche e fuori di esse.

   I miei bersagli li ho sempre scelti bene, appoggiandomi cioè - come del resto fanno tutti - a nomi di sicura garanzia e a scriver dei quali non vi sarebbe stato mai alcunchè da perdere.

   Vanitas vanitas...

   Sono proprio in fregola di confessioni.

   Mi è pure accaduto, qualche volta (rarissime volte) di puntar le carte su qualche giovane speranza che poi, con mio grande sollievo, si è rilevata ampia e chiara come un vero atto di fede.

   Ripeto: rarissime volte.

   E, nonostante i miei difetti (arrecherò dolore ai codini: ne ho moltissimi), ritengo di aver sempre mirato nel segno: cioè di aver colto giusto.

   Non sono un generoso. Anzi, se dovessi proprio tracciare un disegno preciso di me direi che sono piuttosto superbo, arrogante, provocatore.

   Mi son costruito pezzo su pezzo, con pazienza e caparbietà, come certi muli delle terre mie lontane.

   Nulla mi è stato regalato, in buona sostanza, perchè nulla ho mai chiesto ai miei simili abituati, piuttosto, ad appoggiarsi a spalle robuste e capaci: ai vincitori di tutte le risme. Per cui, parlar di un giovane del quale nessuno ha mai osato parlare con linguaggio sincero - tranne il mio carissimo Giovanni Omiccioli che in fatto di spregiudicatezza è in credoto pure con l' Aretino - farà certamente storcere la bocca a più di qualcuno aduso ai panegirici per esaltare la pittura (poniamo) dell' ultimissimo esegeta di Domenico Purificato (pittore sommo e amico dolcissimo ch' io tengo nella massima considerazione). Dopo tutto, sono trabocchetti nei quali inciampano parecchi professori d' università che meglio farebbero, forse, ad interessarsi di Dante e del sitema Tolemaico.

   Ho la piena consapevolezza del rischio che corro, oggi, a scrivere della pittura di Vincenzo Balsamo.

   Ma ho, pure, la grande certezza ch' egli non mi deluderà.

   Nel quadro (generale) della sua produzione pecche e mende se ne potranno trovare e scorgere a non finire.

   Ma tutto ciò non è - nè costituisce materia sufficiente - per stabilire ch' egli non abbia qualcosa da proporre e molte cose da dire ai meno pavidi, a coloro che sono abituati a vedere oltre certi schemi preconcetti o fabbricati ad usum Delphini.

   Ricordo che una sera a Milano, un po' per mettermi in pace con la mia coscienza ed un po', anche, per misurare certe mie aperture in materia di critica artistica, volli sottoporre a Corrado Cagli (Maestro inimitabile) e al carissimo e fraterno Alfonso Gatto certe stampe a colori - ancora fresche di inchiostro - dell' ultima produzione di Vincenzo Balsamo.

   Ebbene, e mi sia perdonata l' immodestia, i giudizi si confrontarono in pieno.

   Non ho sbagliato, forse. Sono anzi felice di essermi reso interprete - magari anticipando il giudizio - di una realtà che era nell' aria, latente, firmando questa monografia dell' opera di Balsamo alla quale - con più forza e autorità - hanno collaborato tutte o quasi, le firme del Poliedro: da Aniceto Del Massa (autore dell' opera sui disegni di Michelangelo e colonna della Rivista) a Ugo Moretti (Premio Viareggio) e Ugo Mannoni (inviato speciale di «Paese Sera»).

   Io credo nei giovani come Balsamo, perchè ho sempre creduto negli uomini che si sono fatti da sè rompendosi le ossa contro il muro innalzato dalle convenzioni, dai tabù, dalle soperchierie e dalle mille e mille viltà di cui si ammanta la falsa virtù di questo nostro mondo di menzogne e di calcoli.

   La pittura di Balsamo è il suo racconto: un canto d' amore non interrotto per gli uomini che, nonostante tutto e malgrado tutto, ancora credono in qualcosa di vero di bello e di eterno: come la poesia dei colori.

                                                                                        Michele Calabrese

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ugo
_ ___ __ ______ _ _______ __ mannoni

   Ho sempre pensato che Vincenzo Balsamo fosse uno sperduto, a Roma. Un artista di passaggio sempre sul punto di saltare su un treno. «Addio, ora me ne ritorno a Brindisi». Forse sono gli occhi a dare questa sensazione. Occhi irrequieti che frugano le cose con mobilità e malinconia. Gli occhi di uno che vuol vedere tutto, succhiare alla fonte le emozioni per cementarle con quelle che sono alla base del suo subcosciente e si intravvedono negli attimi di distensione: esperienze dure e rabbiose. Anche esteriormente l'uomo ti colpisce per quella duplicità riprodotta a fior di pelle, dai lineamenti all' abbigliamento: impastato con le ansie gloriosamente rivoluzionarie del presente ma nello stesso tempo ancorato allo stupore romantico di un passato che si perde nella notte di sollecitazioni ancestrali.

   Vincenzo Balsamo è nato e cresciuto a Brindisi. Per chi conosce il nostro paese soltanto sulle carte geografiche o attraverso la monotonia dei falsati flashes scolastici, questo potrebbe essere un riferimento squisitamente geofrafico. Per me che ho il sangue pieno di germi catturati viaggiando nel vivo della sterminata piaga (in rilievo) nazionale, il fatto è determinante. Se Verga fosse nato a Biella, tra la selva nascente delle ciminiere di Valle Strona, non avrebbe ricevuto nella carne e nello spirito, in modo così lacerante la storia della dissoluzione di una famiglia di pescatori attorno alla quale si muove tutta la vita di un villaggio. Dico questo, perchè negli olii e nei monotipi di Balsamo che trattano con lunghe pennellate il tema dei paesaggi romani, io ho sempre visto la campagna di Brindisi, abbandonata al torchio di remore secolari. Non possiamo uccidere l' uomo infelice che è in noi. Ciascuno di noi, prima di scatenarsi all' assalto di castelli pieni di fanciulle dolenti, ha vissuto il suo ciclo nella realtà.

   Vincenzo Balsamo è diventato uomo a Brindisi. Di quella terra conserva inconsciamente i ricordi. Grecia, Roma, barbari, bizantini e saraceni. Se dovesse dipingere in trance, vedremmo nei suoi quadri le vecchie mura del castello svevo, le porte stemmate della città, la cripta di Santa Lucia e le tessere sbiadite del gran mosaico del Duomo. La facce dei contadini poveri e degli operai senza lavoro. Ma Vincenzo Balsamo è un paesaggista ed è venuto a Roma per vivere e studiare nel mondo degli artisti di calibro internazionale. Se lo avessi conosciuto quindici anni fa gli avrei detto: «resta a casa tua e dipingi la storia della tua gente». Ora è tardi. I suoi quadri si intitolano «Porta Portese dal Lungo Tevere», «Paesaggio del Garda», «Il vicolo della luce a Roma», «Paesaggio del lago di Vico».

   C' è una specie di rancore, nei quadri di Balsamo. Critici e artisti lo hanno intuito. è il subcosciente che torna alla ribalta nonostante le tranquillanti esperienze di via Margutta. Balsamo è un paesaggista che ha saputo far coesistere il pacato fatalismo originario con la inquietante curiosità dell' uomo moderno. Ha trovato l' ingrediente segreto per amalgamare una varietà di ispirazioni quale ci è stata trasmessa dai romantici, dagli impressionisti, dai macchiaioli e poi dai cubisti e dai futuristi.

   Nei suoi quadri il colore non è un fenomeno di luce, ma una modalità di volumi e di superfici. Ignora le mode e le tendenze. Dipinge d' impeto, con pennellate ampie che sembrano ferite dai cui bordi tracimano ricordi compressi. Motivi agitati e commossi sono sempre presenti, anche nelle sfumature.

   La raffigurazione dipinta di motivi paesistici naturali, nei quadri di Vincenzo Balsamo è perfezionata dalla sofferenza congenita. Non a caso i colori predominanti, il bleu profondo e le varie tonalità del verde, evocano incubi che è difficile strappare dagli abitacoli dell'istinto.

   Questi temi-base fanno da sfondo e a volte si impastano con i bianchi arroventati dall' arsura che Balsamo ha portato nel suo bagaglio quando è saltato su un treno in Puglia. Si amalgamano con i colori che l' artista ha trovato a Roma: sflgoranti e impudichi, ibernati dal tempo sui ruderi carichi di edera e di fiori smaglianti.

   Se potessi mutare con una frase il destino di Balsamo gli direi di scrivere. I suoi quadri sono racconti. Esperienze vissute cariche di tensione. «Omaggio a Mafai» è una biografia scarna, essenziale e dolorosa. Nei quadri prima, dopo e durante il temporale ci sono scariche elettriche invisibili che sciolgono in brividi tonanti le sfumate perplessità del linguaggio pittorico. Non ho mai visto un quadro di Balsamo dedicato ai braccianti pugliesi. Sono convinto che l' artista potrebbe descrivere in modo spaventosamente aderente alla realtà la rabbia dei contadini senza terra.

   L' equilibrio compositivo in Vincenzo Balsamo è innato. I dettagli non lo sviano. Sono elementi di una visione generale captata e riprodotta nell' essenza.

   è l' istinto dell' autodidatta sostenuto da esperienze sofferte. Un uomo non arriva a comunicare con un mondo di sordi se non grida forte e Balsamo ha imparato a gridare quand' era bambino per raggiungere il suo pezzo di pane. Continua a gridare nei quadri, perchè gli è rimasta addosso quella pungente frenesia. è uno di quelli che non smetteranno nemmeno quando gli compreranno gli scarabocchi disegnati sui tovaglioli di carta dei bar. è una meta o una condanna? Io credo agli artisti felici. C' è troppo dolore in giro e chi si rinchiude nella sua calda placenta perde il senso della vita. Basta guardare un quadro di Balsamo per capire che l' artista ha già ricevuto le sue stimmate. Continuerà a dipingere con impegno doloroso.

                                                                                            Ugo Mannoni

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                                                 aniceto
_ ___ __ ______ _ _______del massa

    I quadri di paesaggio che costituiscono la produzione più compatta del giovane pittore Vincenzo Balsamo, dichiarano subito un' estrema e attenta capacità nell' ordinare i complessi elementi che una visione, sia pure suggerita dalla natura, ha da chiamare a raccolta per esser tale e non un semplice assieme di dati realistici con accentuazioni d' effetti variati a seconda dell' estro e dell' a- bilità. Balsamo non trascura la realtà ma senti che senza perder di vista il vero ne ha in mente un altro e quello segue cercando però di realizzare armoniche risonanze tra i due impulsi su piani di percezione non meccanicamente accostati.

   Si può far paesaggio soltanto avendo presente un determinato scopo: quello, ad esempio, di suscitare in chi guarda un certo ordine di effetti, di stati d' animo più o meno legati da suggestivi momenti che la natura offre a chi sa guardarla e possono derivarne precisazioni locali che poi assumono valore quasi di definizione geografica. In quest' ordine la fantasia dell' artista ha una gamma vasta di rispondenze psicologiche che possono incidere a colpo sicuro, o incontrarsi e fondersi nella emotività di chi riceve l' im- magine. Il paesaggismo è sempre esistito, è stato sempre una zona pittorica prediletta ed ha attratto ed attrae ogni pubblico e in vasta scala: ne è testimone la richiesta facilmente controllabile d' altronde da chiunque. La attrazione per il paesaggio può avere diverse ragioni e spiegazioni: qui intensiamoci di fare una prima distinzione tra pittura di paesaggio e paesaggismo. Far paesaggio, intanto, ha un significato che non implica una specialità sarebbe assurdo pensare un artista specializzato in un solo genere, di figura o di paesaggio o di natura morta; ve ne sono, naturalmente, ma spesso è stato difetto della critica l' avvalorare tali classificazioni degenerate poi in categorie che hanno confuso le idee e posto in rilievo opere di artisti ritenuti specializzati o nell' uno o nell' altro genere, non però in quello che più conta: la pittura.

    Far pittura di paesaggio, quindi, è un conto, indicare un artista come paesaggista o naturamortista è come mutilarlo, includerlo in una specialità che non ha ragione di essere.

    Far pittura di paesaggio vuol dire, così, avere un senso del paesaggio e Balsamo questo senso lo ha, appunto perchè non è uno specialista; lo si nota a prima vista in quanto le sensazioni che suscita nel riguardante non sono sensazioni affidate ad effetti ben congegnati che un occhio attento può cogliere qua e là vagando alla ricerca di «pezzi» traducibili facilmente nel pittoricismo più corrente.

    Il senso del paesaggio si rivela in questi dipinti proprio per l' as- senza quasi totale direi del «color locale» e non importa se in un secondo tempo si possono notare differenze d' atmosfera e di componenti particolari pur facilmente riconoscibili. Perfino l' e- suberanza della sua natura meridionale è ristretta a toni che si amalgamano tanto a quel «senso» proprio della sua pittura da non farsi più notare: difficile isolare un accento dialettale nel discorso pittorico che procede per ritmi, per riflessioni (non razionalistiche, poetiche) in vista di partiture visive concluse in pagine pittoriche quasi sempre di taglio architettonico misuratissimo.

     Ottimo segno quando nel ricevere un' immagine altre vi si sovrappongono; l' immagine iniziale che ne genera altre muove così il ricordo, e stabilisce un rapporto più diretto tra le percezioni e il paesaggio-immagine che si ha daventi non è soltanto un motivo obbligato di godimento visivo, bensì invito ad azionare le nostre capacità creative ad una comprensione poetica. Le proposte di Balsamo sono aperte e senti che nel suggerirle non v'è proggrammazione riferibile ad un' ideologia di moda o di corrente; alcuni dei suoi paesaggi si concludono in descrizioni semplificate al massimo: case isolate o a gruppi, ciuffi di alberi, montagnole digradanti in campagne in cui la squadratura delle zone crea accordi piacevolissimi di colore. Eppure il quadro non finisce lì, lo si accoglie come compiuto perchè tutto è in ordine e la mente può compiacersi anche a stabilire raffronti, a indovinare il percorso mentale del pittore, la sua iniziazione artsitica o estetica; più si procede nella lettura e meglio si scopre che ad un certo punto si è liberi nel riguardare, non impediti da richiami estranei, l' immagine è ricca di per sè di variazioni.

    La modernità di Balsamo non ha limiti ristretti di scuola: è una modernità che non si appoggia a dialettiche astruse per essere accolta in quello che di solito i sofi definiscono il mondo della cultura, un mondo ristretto, spesso meschino riservato a squallide minoranze devitalizzate da problematiche insulse, un mondo ove i residuati di contradditorie esperienze galleggiano alla deriva. La sua modernità consiste nel molto semplice motivo che vivendo nel mondo d' oggi, Balsamo non senti il bisogno di rivestirsi d' abiti da carnevale per apparire quello che non è: ci tiene ad essere quello che è essendosi conquistato il diritto di esserlo attraverso una disciplina attenta, un tirocinio nel mestire che non gli ha permesso sorpassi alle prime prove. Gode quindi di una padronanza tecnica che senti sicura, agile, pieghevole alle esigenze della fantasia, pronta a cogliere il mutevole delle apparenze per raggiungere ogni volta l' unità capace di contenerle in misura rappresentative organiche.

    A rigore, ogni rappresentazione del reale una volta divenuta poetica, per se stessa si pone come astratta; un paesaggio di Van Gogh è astratto quanto un dipinto del Bissier: tanto è vero che anche per l' astrattismo si è fatto ricorso a qualificativi come espressionismo-geometrico ecc., a seconda degli accostamenti che la pittura suggerisce. E, quando si sfocia o nell' informale o nel più generico non figurativo, in quei generi di pittura ove anche la materia pittorica si dissolve o si serve di altre materie, non si può fare a meno del riferimento al colore e del suo uso per giudicare la validità del «pezzo» che si ha davanti agli occhi.

    L' essenziale di una pittura non è l' ...ismo, l' etichetta sotto la quale corre per comodità di critica, di cronaca o di storia; è la pittura medesima, l' espressione in cui l' artista la definisce e la perfeziona. La modernità non ha un solo volto, ne ha molti e tra molti, naturalmente, eccellono quelli che si diversificano per intensità di stile.

    La modernità di Balsamo è schietta, indipendente da compiacenze a formule di moda, cioè transuenti, libera da pregiudizi, non viziata da originalismi non convinti e meno convincenti. L' originalità cui Balsamo aspira è essere sincero con se stesso e in quanto sincero, libero.

    I suoi paesaggi se dichiarano a volte un naturalismo, direi bruto, tanto gli accenti e le inquadrature sono così prive di ogni sentimentalismo, altre rasentano l' astratto per l' intrico delle linee e dei toni nei quali il pittore seguendo un proprio estro si è lasciato quasi sommergere dimenticando il vero e sedotto dall' arabesco che gli si è venuto a vivere sotto il pennello; e sono effetti di un' in- tensità e di una vivacità originali, sì, ma non pensati come tale e per questo efficaci artisticamente, ovvero stilisticamente. Stile, si sa, è conquista, conquista che si consegue lavorando duramente e la sua segnatura è inconfondibile anche se sfugge a definizioni. In questa raccolta che rappresenta la scelta di un decennio di lavoro è facile riportarsi alle esperienze che cammin facendo il pittore ha vissuto controllando le sue risorse e riprovando, insieme, mezzi e cultura; perciò invenzioni, autentiche, veri e propri ritrovamenti, e ognuno caratterizzato da impulsi a dare della realtà un senso colto tra veduto e sentito, sintesi di un interiore travaglio sorretto, cresciuto e maturato da fede positiva nei valori della pittura.

    Assenza di bravure, di trovate, di facili accorgimenti di mestiere, di ogni altra intrusione non essenzialmente connessa a quel determinato modo espressivo cui è pervenuto per gradi ma quasi fin dagli inizi per istinto, testimoniano la sua modernità che abbiamo definito schietta oltretutto perchè in rapporto alla moralità di un carattere personale alieno dal ricorso a sotterfugi, a manomissioni, a prestiti.

    Naturalmente Balsamo pur essendosi fatto da solo non ha chiuso gli occhi di fronte alla produzione che gli è cresciuta e gli cresce intorno. Questa non gli ha fatto, però, dimenticare l' altra lezione proveniente dalla pittura «di sempre» e ne senti la presenza negli accenti, nelle inquadrature, nello sviluppo tematico di un paesaggio, come di una natura morta, presenza intendiamoci che non si riflette in modi più o meno abili di applicazioni manuali ma viva in un discorso intimo che nutrisce l' intelletto e lo spinge a sperimentare. Non si può non riconoscere le predilezioni per certa narrativa impressionistica ma sarebbe difficile indicare con precisione una fonte dalla quale siano stati attinti prestiti non del tutto leciti; Balsamo è un ottimo lettore di quadri e la sua cultura si è fatta anche studiando attentamente tecniche pittoriche di vari maestri ma al sua cura più assidua si è rivolta al mistero dello stile di quelli che più sollecitavano la sua mente. Gli è stato facile intenderne i valori e su quelli misurare le proprie esperienze e capacità.

    È per tale umile devozione all' arte che Vincenzo Balsamo è; pervenuto a realizzazioni artistiche che non sanno di alambicco, di mera presunzione ma s' impongono soprattutto per la serietà degli intenti e del lavoro per il gusto in cui sono quasi direi colate che è gusto non guasto da droghe, di un giovane sano dalla mente altrettanto sana e felice di creare nei limiti che gli sono consentiti e che sa di potere ampliare a furia di esperienze e di quotidiano contatto col demone della pittura.

    V' è un paesaggio nevoso che mi piace segnalare come emblematico nella pittura di Balsamo e non perchè tanto si distingua dagli altri per costruzione o impegno; anzi è un quadro che posto accanto ai più accesi di tonalità e variati nel ritmo sta, inconfondibile, a dichiarare la medesima mano lo stesso occhio vigile più ai ritmi che alle tentazioni degli impasti caldi, saporosi, quasi, del colore. Non è sostanzialmente diverso ma, neve a parte, mi pare un dipinto che sia per preannunciare un altro aspetto della sua pittura; basta notare come la distesa di neve che non è il solito manto candido, si muova in virtù di tonalità quasi segrete, in sordina, delicatissime, raccolte nelle accentuazioni di curve lineari che seguono e marcano il terreno e ne fanno qualcosa di vivo di respirante energia vegetale: è il vero humus che la neve propizia ricopre per rafforzare, proteggendoli, germogli e risorgenze. La sua esperienza si è provata a risolvere un problema diverso e il bianco protagonista è risultato di una personalità ormai definita. Credo che su questa strada il pittore abbia molte conquiste da allineare a questa prima, compiutissima, non episodica, altrettanto convincente come le più compiute e unitarie definizioni di paesaggio.

    V' è anche una natura morta, rettangolare, su sfondo rosso e a due focalità poste quasi a contrasto per dar vigore ai chiari e alle ombre, ove gli aggruppamenti degli oggetti non spostano l' at- tenzione ma suggeriscono a chi guarda di accogliere insieme le due visioni nel giuoco bipolare frutto non soltanto di ingegnosa collaborazione ma di più impegnata e calcolata volontà nel raggiungere bilanciamenti armonici tra luminosità intense e meno, zone d' ombra ove il colore può variare nel distendersi sugli oggetti fino a farne pietre di paragone per la dose giusta tra vero e sognato; un pezzo di bravura, naturalmente, ma ove senti il prevalere della coscienza dell' artista che sa non far scadere il dipinto in manierismi effettistici abusatissimi.

    Questa facoltà di controllo che ritrovi costante nei dipinti del Balsamo è già di per sè indice di seria vocazione, di tesa insistenza sui valori essenziali della pittura che non allentano ma potenziano l'intuizione inibendo, come abbiamo accennato, evasioni e facili avventurose intraprese; dalle quali d' altronde l' animo del pittore è alieno per natura e costituzione fisica.

    Se ora guardiamo nel suo insieme questa sua produzione ne risulta una continuità a coerenza rigorosa e coerenza non passiva, anzi sempre insanguata da impulsi creativi che in ogni quadro seguendo differenti direzioni propongono armonie unitarie e concrete; in questa sua coerenza il Balsamo ci dà la misura del suo stile ormai maturo, avviato verso positivi, fecondi periodi di attività.

                                                                                     Aniceto Del Massa
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